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“Le Lance” aggressore/ aggredito Studio Soligo

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Alberto Parres e le sue lance

PAOLO BALMAS  su Trovaroma di Repubblica , Aprile 1992

Fino a che punto e in che senso la pittura può essere detta aggressiva? Ovvero, quanta aggressività può contenere un’opera senza rimanerne stravolta? Senza rinunciare alla sua “aura” e perdere la sua peculiarità di oggetto estetico? Questi sembrano essere più o meno gli interrogativi cui Alberto Parres si è sforzato di rispondere con la mostra “Aggressore/aggredito” di recente inauguratasi presso lo Studio Soligo.

Con il termine “aggressività” in arte, naturalmente si possono indicare cose molto diverse. A seconda del contesto possono essere definiti aggressivi: un colore, una pennellata, l’uso di un certo materiale, una metafora, un gesto, un simbolo o anche un’immagine in tutta la sua complessità. Un’opera, inoltre, può essere aggressiva per i suoi contenuti senza esserlo per la forma o viceversa; può risultare tale nei confronti di chi guarda o più semplicemente nei con fronti di altre opere; può, infine, aggredire in maniera del tutto esplicita o farlo solo per vie subliminali, vale a dire puntando su automatismi della mente e contenuti inconsci.

Consapevole di tutto questo, nel senso in cui può e deve esserlo un’artista, Parres, piuttosto che vivisezionare il problema ha cercato di farne coagulare tutti gli aspetti e le sfaccettature attorno ad un unico elemento insieme dirompente e decisivo. È nata così l’idea di scagliare contro la propria stessa pittura degli autentici strumenti di offesa che fossero però capaci di raccogliere su di sé, quanto a significato, una eredità storica immediatamente riconoscibile. Ecco allora che tra le tante armi presenti in oltre duemila anni di tradizione artistica occidentale la scelta della lancia si è imposta da sé. Con la sua forma allungata e il suo sovrastante rapporto dimensionale nei confronti della figura umana la lancia, infatti non ha mai corso il rischio di vedersi ridotta a semplice accessorio della rappresentazione, al contrario essa si è sempre qualificata, si potrebbe quasi dire “per definizione”, come fattore strutturale dello spazio dell’opera sia in senso direzionale che in senso più lata mente costruttivo. Ma come distinguere, appunto, le valenze dell’aggressività da quelle della mera strutturalità?

Qui la soluzione trovata da Parres è di una semplicità che rasenta l’ovvio, ma anche di una teatralità che, dopo aver sfiorato il kitsch, si risolve in autentico colpo di genio. Con un’ideale marcia a ritroso nella storia il nostro artista si è posto dinnanzi a tutti i più noti capolavori della pittura in cui una selva o un intrico di lance la fa da protagonista (dalla “Battaglia di Isso” di Filosseno di Eretria alla “Cattura di Gesù” di Giotto di Bondone, dalla “Battaglia di San Romano” di Paolo Uccello e dalla coeva “Vittoria di Costantino” di Piero della Francesca alla “Resa di Breda” di Velázquez), quindi requisite e materializzate con attenzione tutte le armi che lo interessavano ha cominciato a lanciarle su una enorme tela nera che per tipo di lavorazione e sostanza cromatica rappresenta l’attuale punto d’arrivo della sua ricerca. Il visitatore ha l’impressione di essere entrato in galleria un’attimo dopo che l’ultima micidiale asta acuminata si è conficcata nella parete e si sente complice della vitale discarica di energia innescata dall’autore.

Avvicinandosi ai muri perimetrali dell’ambiente scopre, però, subito dopo, che su di essi quasi per generazione spontanea è fiorita una teoria di piccoli spinosi quadri metallici irti di ogni genere di insidia. Simulando la vita, l’artificio per un attimo ha strappato qualcosa all’arte, la macchina della rappresentazione, però, si è subito rimessa in moto mimando l’insorgere di un pericolo reale. Ancora una volta artista e pubblico si accorgono di non potersi avvicinare tra loro più di quanto non lo consentano le rispettive distanze dall’opera.

Paolo Balmas

Studio Soligo, via del Babuino 51, Roma

1992